ALTRE VOCI, ALTRE STANZE
a cura di Licia Spagnesi

Duetart Gallery - Varese

18 settembre - 16 ottobre 2010

Nei suoi nuovi dipinti Caterina Pini si è creata un alter ego “fuori misura” per viaggiare liberamente nello spazio e nel tempo, per rimpicciolire la distanza che separa Parigi, dove vive e lavora, e Milano, dove è nata e cresciuta. Ma c’è dell’altro. E’ come se la lontananza la spingesse a osservare il suo piccolo mondo da un punto di vista differente. Come se le esperienze che hanno plasmato la sua persona, gli affetti che l’hanno circondata, i luoghi che l’hanno accompagnata per anni nella vita quotidiana le apparissero ora sotto una luce del tutto nuova. Altre voci, altre stanze.

Quello che colpisce di fronte a queste opere è la delicatezza con cui la pittrice sa accompagnare in vita quel mondo di apparizioni gravide di un’intensa emozione artistica, la facilità con cui imbastisce storie impossibili attraverso immagini dirette, fragili e potenti, mescolando stralci di ricordi e frammenti di vita che, seppur ancorati alla realtà, propongono una dimensione altra. La sua pittura mostra una grande ricchezza di riferimenti culturali. Le modalità espressive fanno infatti leva su parallelismi iconografici, contrasti e analogie con le formule pittoriche messe a punto dai grandi maestri del passato.

Si spazia dai primitivi toscani (il non-naturalismo, le sproporzioni e l’occupazione fantastica dello spazio) alla scuola del Novecento italiano, in particolare Mario Sironi (la semplificazione geometrica dello spazio e il senso profondo di appartenenza a un luogo legato al proprio passato non meno che al proprio presente), senza però trascurare la lezione di Balthus (la figuretta stilizzata di qualcuna delle sue fanciulle dall’aria un po’ selvatica e la dimensione onirica della rappresentazione, ottenuta anche grazie a un uso sapiente del colore). Ma è Giorgio De Chirico il suo nume tutelare. Come il Pictor Optimus, anche Caterina Pini sceglie con cura elementi quotidiani e li nutre di una misteriosa intensità. Nei suoi spazi cittadini deserti ritornano, variamente trasfigurati, gli edifici a portici scorciati, le teorie di arcate e le file di finestre quadrate delle celebri Piazze d’Italia; le ombre che si allungano sulla strada, foriere di possibili apparizioni, metafora del doppio e del rispecchiamento; e quel sottile velo di malinconia, quel sentimento di solitudine che avvolge ogni cosa. Gli elementi riferibili a De Chirico rappresentano dunque un calcolato omaggio della pittrice milanese alla radice di un’ispirazione, un segno di riconoscimento, un sigillo di fratellanza spirituale intessuto però ai tratti di un lavoro originale, intensamente personale. Nella sua indagine della realtà,  la Pini usa termini comuni che si approfondiscono e mescolano con un effetto simile a ciò che succede quando un insieme di parole diventano poesia. Le sue tele, portando alla luce emozioni e sentimenti appartenenti al proprio vissuto, ribadiscono quanto l’ordinario possa essere straordinario nell’esperienza individuale.